01 - Che ora è: 17.39
02 - Nome: Settembre
03 - Compleanno: a novembre
04 - Segno zodiacale: scorpione
05 - Tatuaggi: nessuno
06 - Piercing: due, uno per ogni orecchio
07 - Sei innamorato/a?: si
08 - Ti piaci interiormente? ça dépende... a volte sì a volte no
09 - Hai già amato al punto di piangere per qualcuno? si
10 - Hai mai fatto un incidente con la macchina? si, solo con auto altrui
11 - Hai mai avuto una frattura? fortunatamente no
12 - Pepsi o coca-cola? mi spiace ammetterlo ma coca
13 - Ti fidi dei tuoi amici? certo
14 - Colore preferito per l'intimo? black
15 - Misura di scarpe: 38
16 - Numero preferito: 9
17 - Tipo di musica preferita? orientale
18 - Doccia o bagno? bagno
19 - Cosa odi? la prepotenza, l'aggressività, la vanità, la stupidità, l'intolleranza
20 - Come ti vedi nel futuro? viviamo il presente va'!
21 - Da chi hai ricevuto questa mail? da mia cugina
22 - Quale dei tuoi amici vive più lontano? Shaman
23 - Chi sarà il + rapido a rispondere secondo te? l'insospettabile
24 - Il più lento? Shaman ... vive più lontano, per forza... ;-)
25 - Sei felice? e chi lo è mai completamente?
26 - Proverbio preferito? easy come easy go
27 - Libro preferito? solo uno?... "Mrs Dalloway" V. Woolf
28 - Di cosa hai paura? della mia seconda personalità
29 - La prima cosa a cui pensi quando ti svegli? Caffè, Caffè, Caffè
30 - Film preferito? e ridaie... solo uno? "Monsoon wedding" di Mira Nair MA NON SOLO!!!
31 - Se potessi essere qualcun altro chi saresti? nessun altro
32 - Cosa c'è appeso al muro della tua camera? un ritratto che invecchia al mio posto
34 - Posto dove ti piacerebbe andare? India
35 - Pensi che qualcuno risponderà a questa mail? chissà
36 - E chi sei sicuro risponderà? chi non si fa mai sentire
37 - Di chi vorresti leggere la risposta? di tutti
38 - Profumo preferito? Rose de Lancome
39 - Sport preferito? non se si può considerare sport, comunque danza del ventre
40 - Timido o estroverso? entrambi a seconda delle giornate
41 - Soprannomi? Settembre ;-)
42 - Mare o montagna? MARE!
43 - Hai paura della morte? si, di quella delle persone che amo
44 - Suoni qualche strumento? nei miei sogni il sitar
45 - Un saluto? Namaste!
lunedì 22 ottobre 2007
lunedì 1 ottobre 2007
Woman on men
Scrivo d'impulso queste righe ripensando a alcuni eventi accaduti la scorsa settimana.
Quando si parla di molestie sulle donne, quasi automaticamente sono portata a pensare alle molestie fisiche, alle violenze sessuali. Certo questo è il limite. Consideriamo invece che molto più frequentemente una donna viene molestata anche quando non è fisicamente toccata ma "solo" apostrofata con epiteti più o meno volgari, più o meno "amichevoli", ma quasi sempre NON richiesti. Ci sono casi poi in cui non viene detta alcuna parola ma la gestualità è inequivocabile.
Questo mi è successo la scorsa settimana, non una, non due ma tre volte.
Non voglio raccontare quello che è successo: non è l'intento di questo post e ho il celato timore che quello che andrei a scrivere potrebbe risultare talmente banale e comune che qualcuno potrebbe pensare "Beh, tutto qui?".
Voglio scrivere invece come può essere umiliante e frustrante per una donna essere oggetto di commenti eleganti del tipo "bella figa" o "bella gnocca" quando non sono richiesti e del tutto gratuiti; quando vengono detti come se fosse un complimento e tu dovresti come donna, secondo il pensiero del "mittente", esserne lusingata e dimostrare quindi una sorta di complicità e il tuo silenzioso assenso a atteggiamenti di questo tipo.
In passato mi sono spesso posta il problema se in fondo queste non fossero cose di poca importanza, e mi sono risposta che, in fin dei conti lo erano dal momento che ad una donna possono succedere cose ben più gravi e che poi, a ben vedere, non ti è stato detto che sei una cozza.
Con il passare del tempo invece mi riesce sempre più difficile accettare e tantomeno giustificare comportamenti di questo tipo. Cambia la consapevolezza di sé stessi e cambiano le idee.
Che cosa dovrei dedurre da questi atteggiamenti?
Che chi li fa pensa che una donna dovrebbe essere abituata a ricevere questi apprezzamenti? Che dovrebbe esserne lusingata? Che dovrebbe prenderli come una battuta amichevole quando arrivano da persone che frequenti tutti i giorni per lavoro?
Beh, a chi la pensasse così dico che NON è così.
A chi la pensasse così consiglio di provare ad immaginare la reazione istintiva verso un uomo che si rivolgesse così a donne a loro vicine (madri, sorelle, mogli, figlie, amiche). Invito a pensare al contrario e a mettersi nei panni di chi riceve il commento.
Più che mandare l'individuo a quel paese cosa puoi fare? Mettergli le mani addosso non puoi anche se vorresti tanto. E in quei casi assicuro che il semplice "Vaffa", seppure liberatorio sul momento, non serve a molto quando a mente fredda cominci a pensare a PERCHE' una persona che non conosci, o ancora peggio, che conosci si sia rivolto a te in quel modo.
Razionalmente la spiegazione non l'ho trovata e la frustrazione rimane.
Quando si parla di molestie sulle donne, quasi automaticamente sono portata a pensare alle molestie fisiche, alle violenze sessuali. Certo questo è il limite. Consideriamo invece che molto più frequentemente una donna viene molestata anche quando non è fisicamente toccata ma "solo" apostrofata con epiteti più o meno volgari, più o meno "amichevoli", ma quasi sempre NON richiesti. Ci sono casi poi in cui non viene detta alcuna parola ma la gestualità è inequivocabile.
Questo mi è successo la scorsa settimana, non una, non due ma tre volte.
Non voglio raccontare quello che è successo: non è l'intento di questo post e ho il celato timore che quello che andrei a scrivere potrebbe risultare talmente banale e comune che qualcuno potrebbe pensare "Beh, tutto qui?".
Voglio scrivere invece come può essere umiliante e frustrante per una donna essere oggetto di commenti eleganti del tipo "bella figa" o "bella gnocca" quando non sono richiesti e del tutto gratuiti; quando vengono detti come se fosse un complimento e tu dovresti come donna, secondo il pensiero del "mittente", esserne lusingata e dimostrare quindi una sorta di complicità e il tuo silenzioso assenso a atteggiamenti di questo tipo.
In passato mi sono spesso posta il problema se in fondo queste non fossero cose di poca importanza, e mi sono risposta che, in fin dei conti lo erano dal momento che ad una donna possono succedere cose ben più gravi e che poi, a ben vedere, non ti è stato detto che sei una cozza.
Con il passare del tempo invece mi riesce sempre più difficile accettare e tantomeno giustificare comportamenti di questo tipo. Cambia la consapevolezza di sé stessi e cambiano le idee.
Che cosa dovrei dedurre da questi atteggiamenti?
Che chi li fa pensa che una donna dovrebbe essere abituata a ricevere questi apprezzamenti? Che dovrebbe esserne lusingata? Che dovrebbe prenderli come una battuta amichevole quando arrivano da persone che frequenti tutti i giorni per lavoro?
Beh, a chi la pensasse così dico che NON è così.
A chi la pensasse così consiglio di provare ad immaginare la reazione istintiva verso un uomo che si rivolgesse così a donne a loro vicine (madri, sorelle, mogli, figlie, amiche). Invito a pensare al contrario e a mettersi nei panni di chi riceve il commento.
Più che mandare l'individuo a quel paese cosa puoi fare? Mettergli le mani addosso non puoi anche se vorresti tanto. E in quei casi assicuro che il semplice "Vaffa", seppure liberatorio sul momento, non serve a molto quando a mente fredda cominci a pensare a PERCHE' una persona che non conosci, o ancora peggio, che conosci si sia rivolto a te in quel modo.
Razionalmente la spiegazione non l'ho trovata e la frustrazione rimane.
venerdì 14 settembre 2007
Are we that different?
Di ieri la notizia che vede protagonista Roberto Calderoli quale organizzatore del "maiale day".
Il Vicepresidente del Senato vorrebbe portare a spasso i rosei suini sul terreno destinato all'edificazione di una nuova moschea a Bologna, contaminando il suolo e impedendo così la costruzione del luogo di culto .
E dato che il personaggio è un uomo di stile, la boutade arriva proprio nella giornata di inizio del Ramadan.
A queste enormità mi piacerebbe rispondere con questo video che mi è capitato per caso di vedere su Blob ieri sera.
Lo si trova su AVAAZ.ORG
P.S: ...Io la petizione l'ho firmata
lunedì 3 settembre 2007
Settembre
Da sempre trovo Settembre elettrizzante, lo sento sotto pelle.
Sarà questo cielo che a ovest si copre di nuvoloni scuri mentre a est è azzurro e luminoso. Sarà che intorno cominciano a spuntare le prime, leggere, maniche lunghe e i golfini sulle spalle mentre i piedi restano ancora liberi nei sandali estivi.
Sarà che la luce si addolcisce e diventa dorata e i tramonti cominciano sempre un po’ prima. Saranno gli odori caldi e dolci della sera.
Sarà che a Settembre cominci a mettere da parte l’estate guardandola con un po’ di malinconia… ma non troppa.
Sarà che Settembre è stato sempre l’inizio di qualcosa: della scuola, delle amicizie, della vita in case nuove, del lavoro, della ripresa della quotidianità dopo i tempi sospesi e irreali delle vacanze.
Sarà forse che a Settembre mi sono sempre innamorata.
Sarà per tutto questo ma accolgo con entusiasmo l’avvicinarsi dell’autunno che con una mano trattiene il ricordo e lo protegge e con l’altra afferra le promesse di cambiamento che le si presentano davanti.
mercoledì 27 giugno 2007
La bustina di zucchero e il tovagliolo - 2
Delusa, lo guardo interrogativa.
Lo ascolto mentre mi dice che tutto ciò non ha nulla a che vedere con il diventare adulti e mi spiega come stare a Barcellona alcuni giorni lo fa tornare quattordicenne.
Osservo il suo viso, cerco di leggere questo sorriso enigmatico, mi sforzo di trovare qualche particolare che lo faccia sembrare meno perfetto e meno sincero; qualche traccia che mi faccia riconoscere un luogo comune qualsiasi di questo genere di incontri.
Invece nulla. Non sento alcun imbarazzo davanti a questo sconosciuto nonostante parli una lingua diversa dalla mia, nonostante stia discutendo di senso della vita e di identità come se fosse la cosa più semplice di questo mondo, come lo zucchero e il tovagliolo sul tavolo.
Non ho mai sentito nessuno darmi dell’egoista in un modo così elegante: “focalizzata su te stessa”.
“Credo che sia importante avere dei momenti in cui ci si possa sentire bustina di zucchero... essere sufficientemente egoisti e togliersi di dosso il tovagliolo... e far capire a chi ci sta vicino che, anche senza il tovagliolo, siamo sempre noi... secondo me, Settembre, tu sei abbastanza focalizzata su te stessa”.
Lo guardo in silenzio, incuriosita.
Continua: “Hai mai affrontato questo discorso con la persona che ami?”
“Non in inglese...”
“Beh, un modo sottile per dire fatti gli affari tuoi!”
“Ti sbagli! Sto solo dicendo che ogni conversazione è unica come sono uniche le persone con cui parli. Vedi, parlare con le persone mi fa scoprire sempre un modo diverso per esprimere quello che penso... È come trovare una parte di me negli altri e avere uno specchio davanti... per esempio con le tue parole stai dando una nuova voce ai miei pensieri... quando succede lo trovo miracoloso, un po' come innamorarsi”.
Ride “Mi stai dicendo che sei innamorata di me?”
“Qui e ora... beh sì! Ricorderò questo momento come la sera in cui ti ho amato per alcune ore. Domani sarà tutto finito. Domani si lavora!”
Ride forte “Dai, ti accompagno all'auto.”
Prima di alzarmi dal tavolo sollevo piccata il tovagliolo dalla bustina di zucchero, lo getto sul tavolo e, con estrema cura, gli appoggio sopra la bustina.
Leggi La bustina di zucchero e il tovagliolo - 1
martedì 26 giugno 2007
Equilibrio
Cosa significa danzare?
Danzare vuol dire muoversi a tempo di musica.
Per danzare, quindi, è importante sentire il ritmo e coordinare i movimenti del proprio corpo.
Per danzare è necessario trovare l’equilibrio.
Il punto di equilibrio può cambiare a seconda del ballo: può essere quello conquistato delle punte di gesso della danza classica o quello gridato dalle scarpe pesanti che seguono i ritmi della strada; quello mediato delle scarpette dei balli di coppia o quello ritrovato dei piedi nudi delle danze orientali.
Per quel che mi riguarda ho scelto l’ultimo.
Poco tempo fa la mia insegnante di danza del ventre mi ha raccontato la storia di una sua allieva. Ho subito pensato che questa storia rappresentasse, nella sua semplicità, una formidabile metafora della vita.
Questa ragazza aveva cominciato a frequentare un corso di danza del ventre dopo aver ballato il tango per anni. Aveva appena cominciato le lezioni e si accorse subito che non riusciva a mantenere l’equilibrio. Esiste una regola fondamentale nel tango: l’uomo conduce, la donna segue. La ballerina danza appoggiandosi al compagno in una posizione asimmetrica e sbilanciata e, in questa posizione, segue il compagno che la “porta” nel ballo.
Così, quando per la ragazza è arrivato il momento di danzare da sola, di sentire il proprio peso sui suoi soli piedi e di percepirne gli spostamenti, semplicemente le succedeva di perdere l’equilibrio.
Non so se abbia proseguito le sue lezioni di danza del ventre o se abbia abbandonato, ma quello che ho visto in questa storia è un’immagine potentissima della vita al femminile.
Personalmente sento nella danza orientale la forza e la ricchezza di una femminilità nascosta alle donne per prime. Non credo sia sempre stato così. Credo piuttosto che le donne abbiano perso parte di sé inseguendo il miraggio di voler essere uguali agli uomini e in questa corsa verso un'immagine maschile abbiamo rinunciato a una femminilità che non si conformava con quello che stavano perseguendo. La questione è che le donne non sono e non potranno mai essere uguali agli uomini. Una volta che ci si rende conto di questo credo sia importante, allora, cominciare a cercare un nuovo equilibrio che si fondi questa volta sull'essere donna.
È incredibile di quanti muscoli nuovi scopro l’esistenza ogni volta che ballo e mi piace pensare, in questo modo, di star conquistando un po’ di consapevolezza in più.
Con la danza intraprendo uno dei tanti viaggi dentro di me.
Forse è questa una strada, ritrovare un po' di sè sentendosi in equilibrio sui propri piedi nudi.
C'è un bel posto a Bologna dove si dibatte lungamente su questi temi è la Libreria delle donne
mercoledì 13 giugno 2007
La bustina dello zucchero e il tovagliolo - 1
I due sconosciuti sono seduti al tavolo di un ristorante, sono un uomo inglese e una giovane donna italiana.
Si sono incontrati per la prima volta quel pomeriggio. Per alcuni giorni si troveranno a lavorare insieme e questa cena è una buona occasione per intuire se il tempo che trascorreranno gomito a gomito durante le prossime giornate potrà essere tollerabile per entrambi.
Il tovagliolo è lì, avvoltolato disordinatamente al centro della tavola e i due lo studiano e lo indicano con interesse quasi scientifico. Quell'oggetto insignificante è diventato l'argomento della loro conversazione, ne è parte integrante quasi fosse la terza persona seduta al tavolo. È evidente che in quel pezzo di stoffa giallo ci vedono un significato che le altre persone sedute in sala non possono cogliere.
La conversazione sul tovagliolo sembra assorbirli totalmente perché parlano fitto e animatamente, come se si conoscessero da tempo.
L'uomo solleva il tovagliolo scoprendo una bustina di zucchero poi, lo riprende in mano, lo stropiccia energicamente e lo lancia di nuovo sulla bustina.
Lei lo ascolta interessata. “Vedi, la bustina sei tu, e il tovagliolo è tutto il resto, la vita di tutti i giorni con tutto quello che si porta dietro, lo schifo, la noia... ma una volta tolto questo” e solleva il tovagliolo con aria concentrata “ci sei sempre tu, quello vero”.
La ragazza alza gli occhi dal tovagliolo e li pianta in quelli dell'uomo di fronte, sorride amara mentre torna a guardare gli oggetti disordinati sul tavolo “L'importante è non lasciarlo morire sotto tutto lo schifo...capisco quello che vuoi dire, ma fatico ad accettare che la bustina debba stare nascosta sotto al tovagliolo...”
“Vedi anche il tovagliolo è parte di te, come la bustina, però c'è anche il resto insieme al tovagliolo, anche quello che non è te. Puoi rinunciarci ma devi essere ben consapevole di quello che perdi. Puoi cercare di lasciare più spazio alla bustina ma il tovagliolo ci sarà sempre perché anche lui, ti piaccia o no, è parte di te e quella parte di te cercherà sempre ciò che il tovagliolo rappresenta.”
“Già, e poi in quanti sopporterebbero la vista di una piccola bustina di zucchero quando tutto intorno è pieno di enormi e pesanti tovaglioli? Non credi che la coprirebbero subito con un tovagliolo nuovo di zecca?”
“Credo di sì. Quello che voglio dire è che siamo più cose eppure, alla fine, siamo sempre noi.”
“Certo! È molto affascinante ciò che stai dicendo. Quello a cui voglio arrivare è capire come si può essere tutto quello che siamo senza soffrire troppo delle tante differenze all'interno di noi stessi, mi capisci? Se siamo tutte queste cose così diverse, vorrei trovare un modo per metterle insieme, per cercare di distinguere quello che è veramente me e quello che, invece, mi è caduto addosso. Voglio capire se è possibile alleggerire il peso del tovagliolo. Vedi, a volte tento di incastrare i diversi pezzi ma non restano uniti, è come un puzzle tagliato male... io... io credo che tu capisca quello che sto cercando di dire.”
L'inglese la guarda e sogghigna fra sè scuotendo la testa “Sì, capisco", poi, guarda con attenzione il vino bianco nel calice. Ne beve un sorso e, come rianimato, torna a guardarla sorridendo gioviale.
"Allora, qualche conclusione?”
“Non lo so, forse è solo una questione di equilibrio, forse è solo questione di crescere.”
“No, non è questo. Per carità, non crescere mai, Settembre”
Leggi La bustina di zucchero e il tovagliolo - 2
lunedì 9 aprile 2007
Prano
Le mille facce di quel brillante dentro di lei ora riflettono la stessa luce nel medesimo momento, una piccola sfera di calore finalmente ricomposta.
Alza gli occhi e scruta il cielo grigio scuro dalla pozza di acqua limpida nella quale è seduta, circondata da carnose ninfee porpora.
Abbassa lo sguardo e vede la seta color della notte che la avvolge aderire dolcemente al suo corpo sottile, diventando così una seconda pelle, tiepida e confortante, sotto la pioggia generosa e impertubabile
Le gocce le bagnano i capelli e percorrono, rotolando, gli zigomi e le guance per perdersi nel buio della seta.
Ipnotizzata, osserva la sua pelle e i complicati disegni sciogliersi lentamente nell'acqua, fuggendo dalle mani e dai piedi.
È una donna seduta nell'acqua sotto la pioggia calda del tramonto. Docile, si lascia lavare dal cielo, sicura. Sola.
Trattiene quella sfera di luce calda dentro di sè.
Chiude gli occhi ed è nella stanza lucente dell'amante.
Sente la seta zafferano abbandonarla mentre gli si avvicina, gattonando sulle lenzuola di porpora e oro che giacciono ribelli sul letto.
Quando lo raggiunge gli siede di fronte; quel giovane dagli occhi neri, sapiente e così diverso e sconosciuto da sembrarle irreale. Con gli occhi si chiedono di non parlare.
Gli si avvicina alle labbra, gli respira vicino un soffio, promessa di un bacio.
Lui solleva le mani. Quelle mani brune e irrealmente calde, seguono, sfiorandola, la curva della schiena della ragazza, fermando il tempo sui suoi lombi nella stanza immersa nella luce del tramonto.
Seduta sotto la pioggia conserva il calore celeste delle mani del giovane dagli occhi neri.
È quel calore ciò che ricorda della lenta notte senza tempo trascorsa con l'amante che, adesso, le è meno sconosciuto.
Abbandonata alla pioggia sente di essere guarita, di aver ricomposto i mille frammenti di quel brillante che ha dentro, sente di aver percorso in quella sola notte distanze siderali.
La pioggia la riporta a sé e solo ora permette al tempo di riprendere il suo corso.
venerdì 2 marzo 2007
Camper
Ieri mi sono trovata a pranzare in auto. Un po' triste lo so, ma queste cose capitano anche alle fanciulle dal nome eccitante che profuma di autunno e vento dell'ovest.
Mentre sbeccotto un cracker nella mia macchina parcheggiata, con il sole dell'una dritto nelle palle degli occhi, osservo un signore seduto al posto di guida del suo camper. Apre un quotidiano e inizia a leggere con il riflesso del sole dell'una dritto nelle palle degli occhi. Eh! Lo capisco ... Vita on the road.
Qui comincerà un breve studio antropologico sul camperista, uno studio accurato che nasce dalla frequentazione assidua dell'unico parcheggio gratuito della mia città.
Il camperista si muove in gruppo e comincia la migrazione il giovedì.
In autunno e in primavera si sente irresistibilmente attratto dai parcheggi delle città d'arte. La stagione è alle porte e i catafalchi a motore spuntano come funghi stanziandosi nell'unico parcheggio non ancora a pagamento della città.
È plausibile ipotizzare che il camperista prediliga spostarsi con il favore della notte, entrare silenzioso in città e cercare indisturbato il parcheggio più adatto.
Infatti, alle otto e trenta del giovedì mattina, ha già occupato la sua postazione nello spazio di due posti auto. Con molta probabilità ripartirà il lunedì dopo pranzo, con molta fortuna la domenica sera.
Abitudini del camperista.
Illustrerò qualche abitudine comune dell'amante del camper.
Parte solitamente con almeno un altro compagno (i mezzi che si muovono sono quindi due o più). Possono essere coppie in pensione (la terza età attiva) oppure famiglie con prole.
In questo secondo caso il camper ospita, oltre alla famiglia di 4 (a volte 5) individui, altrettante biciclette, con le quali possiamo immaginare che i componenti del nucleo famigliare esplorino il territorio circostante.
Alle ore dei pasti il gruppo si ritrova per cucinare e consumare il pranzo o la cena. Preferiscono stare tutti sullo stesso mezzo per condividere il momento conviviale e scambiarsi le cortesie sociali richieste dall'occasione.
Mangiano piuttosto presto se si considerano gli orari del turista tipo che, solitamente, macina chilometri a piedi per visitare le bellezze del luogo che lo ospita. Gli orari dei pasti del camperista sono infatti le 12 per il pranzo e le 18 per la cena.
Come già osservato, dopo pranzo il camperista maschio si riserva un po' di tempo per tenersi informato seduto al posto di guida del suo mezzo. Resta da appurare se, dopo la lettura del quotidiano, il camperista si corichi per fare la meritata pennica.
Ci sembra interessante evidenziare un'altra abitudine che gratifica assai il camperista in viaggio: la manutenzione e la pulizia del suo mezzo di trasporto nelle aree attrezzate alla bisogna.
Insomma, l'autosufficienza contraddistingue la vita del camperista. La maggior parte delle abitudini di casa viene così conservata, con l'urgenza e l'organizzazione più serrata richiesta dagli stretti spazi del mezzo.
Resta ancora da spiegare se, considerato il tempo minimo necessario per la manutenzione e la pulizia del mezzo, la preparazione e il consumo dei pasti, il rassetto dopo i pasti, la lettura del quotidiano, la preparazione della prole, la rimozione delle biciclette dal mezzo e la trattativa all'interno del gruppo sul da farsi, il camperista visiterà mai la città.
Insomma, si schioderà mai dall'ameno parcheggio nel quale si è fermato occupando due posti auto?!
Sì, di sicuro lunedì.
Vita on the road.
domenica 11 febbraio 2007
Bloomsbury solo andata
Benvenuti a Bloomsbury.
Questa è una storia di partenze e di non ritorni.
Tutte le storie hanno un'origine e una destinazione da dove ripartire.
Bloomsbury è un caffè. Non un nuovo seme di caffè (in questo caso si sarebbe chiamato Bloomsberry) ma un luogo come tanti dove si beve caffè, si fuma e si cazzeggia con grande stile.
A questi tavoli si riunisce una singolare fauna umana. A questi tavoli, bevendo milioni di caffè e fumando altrettante sigarette, si raccontano milioni di storie e si vivono milioni di vite.
Bloomsbury è approdo, rifugio e ristoro dal mondo reale. Tutti a Bloomsbury progettiamo l'irrealizzabile e facciamo uscire i sogni dal cassetto. Ci sistemiamo comodi comodi ai tavoli e con grande disappunto leviamo le tende quando è l'ora della chiusura.
Conosco un altro caffè, si chiama Godot e si trova sotto un portico tondo dalla luce dolce e dorata.
Anche questo luogo è come tanti altri, saturo di odore di caffè e di parole appese al fumo di innumerevoli sigarette.
Ma il passante acuto che desidererà prestare un po' di attenzione alle persone sedute ai tavoli riconoscerà, fra i numerosi avventori, i viaggiatori in partenza.
Godot è origine.
Godot è il luogo da dove si parte non sapendo dove si vuole arrivare.
È l'origine di ogni viaggio senza una meta e da lì partono i viaggi dei viaggiatori che hanno deciso di perdersi. E ognuna di queste persone prima o poi arriva qui.
A Bloomsbury.
mercoledì 31 gennaio 2007
UnaQuestioneDiCarattere
Quando vedo il mio capo seduto davanti al computer mentre tenta di usare quella macchina così misteriosa mi vengono i sudori freddi.
Intendiamoci, è una persona straordinaria nel suo lavoro: esuberante, creativa, originale. Ha la capacità di ricavare degli oggetti meravigliosi da cose insignificanti e di sconvolgere le prospettive con soluzioni impensate. Un vulcano.
Tanta è la perizia nell’atto creativo quanto il candore davanti a un pc.
Ieri.
Lo trovo in ufficio seduto alla scrivania che solitamente occupo io.
“Un attimo”, mi dice, “finisco di nominare queste foto che ho appena scaricato e poi ti cedo il posto”. “Ok, fai pure”, gli faccio, avvicinandomi alla sua postazione facendo la vaga.
Osservo il puntatore del mouse che disegna strane e inconsapevoli volute sul monitor, sento il rumore di click a vuoto su pulsanti non attivi e noto con curiosità apostrofi nei nomi dei file.
Apostrofi
L’apostrofo è un carattere accettato nella nominazione dei file ma quanti utenti consapevoli lo userebbero se dovessero dare al proprio documento il nome, cito, “30 gennaio 2007 l’oggetto”? Non è una perdita di tempo inserire quel carattere nel nome di un file?
Poche ore dopo mi capita di leggere una mail che ha scritto: nessuna traccia di apostrofi dopo gli articoli indeterminativi seguiti da nomi femminili...
Sarà una questione di contesto o degli imperscrutabili misteri della grammatica italiana?
Intendiamoci, è una persona straordinaria nel suo lavoro: esuberante, creativa, originale. Ha la capacità di ricavare degli oggetti meravigliosi da cose insignificanti e di sconvolgere le prospettive con soluzioni impensate. Un vulcano.
Tanta è la perizia nell’atto creativo quanto il candore davanti a un pc.
Ieri.
Lo trovo in ufficio seduto alla scrivania che solitamente occupo io.
“Un attimo”, mi dice, “finisco di nominare queste foto che ho appena scaricato e poi ti cedo il posto”. “Ok, fai pure”, gli faccio, avvicinandomi alla sua postazione facendo la vaga.
Osservo il puntatore del mouse che disegna strane e inconsapevoli volute sul monitor, sento il rumore di click a vuoto su pulsanti non attivi e noto con curiosità apostrofi nei nomi dei file.
Apostrofi
L’apostrofo è un carattere accettato nella nominazione dei file ma quanti utenti consapevoli lo userebbero se dovessero dare al proprio documento il nome, cito, “30 gennaio 2007 l’oggetto”? Non è una perdita di tempo inserire quel carattere nel nome di un file?
Poche ore dopo mi capita di leggere una mail che ha scritto: nessuna traccia di apostrofi dopo gli articoli indeterminativi seguiti da nomi femminili...
Sarà una questione di contesto o degli imperscrutabili misteri della grammatica italiana?
domenica 21 gennaio 2007
My favourite things
Raindrops on roses and whiskers on kittens
Bright copper kettles and warm woollen mittens
Brown paper packages tied up with strings
These are a few of my favourite things
(My favourite things From: The sound of music. Music: Richard Rodgers, Lyric: Oscar Hammerstein II
queste righe mi ricordano tre cose:
1 la voce di Julie Andrews
2 un programma radiofonico di Radio 3
3 Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy
quattro cose...
4 le mie cose preferite.
My favorite things è una canzone del musical The sound of music (Tutti insieme appassionatamente).
Quando Julie “Maria” Andrews cantava questa deliziosa filastrocca, l'elenco delle cose preferite funzionava splendidamente: un mantra con benefici effetti sull'animo provato dalle difficoltà della vita. L'elenco delle favorite things scacciava la tristezza e aiutava a affrontare i periodi meno felici. In un certo senso l'applicazione pratica del detto “canta che ti passa”. "Fantastico!" ho pensato.
Così ho provato anch'io a fare una lista delle mie cose preferite sperando di ricevere nei momenti neri lo stesso conforto che ne traeva la brava Julie Andrews.
In realtà, se alla fine della giornata mi trovo le ossa inzuppate dalla nebbia gelida della mia città e penso al mare e alla calda estate croata, per esempio, per contrasto purtroppo non mi ritrovo particolarmente confortata. Allo stesso modo, quando in ufficio sono costretta a ascoltare fiumi di parole inutili e penso invece alle piacevolissime chiacchierate che potrei fare con gli amici più simpatici... beh ecco, continuo ad avere qualche dubbio sulle qualità terapeutiche della lista delle favourite things.
Tuttavia è bello avere delle cose preferite e questa è la mia lista in ordine rigorosamente sparso:
leggere davanti al camino acceso, cantare in auto, cucinare il pollo, le cene fra amici, i fari sulle scogliere selvagge, i gatti, la neve, i temporali, parlare con i bambini, il profumo del narghilè acceso, la Scozia, i Bollywood movies, le lingue del mondo, le carte geografiche, il caffè, danzare, la fotografia, l'odore della carta, la pasta con le zucchine, mangiare, passeggiare, la Cornovaglia, il mare, nuotare, il mio iPod, dormire, viaggiare in treno, il volo dei corvi, i tramonti, camminare sulla sabbia, il mio iBook, il cinema, le biblioteche, la copertina da serata in poltrona, le librerie, gli aeroporti, Godot e Bloomsbury.
... in effetti, adesso che ci penso mi sento molto meglio!
Bright copper kettles and warm woollen mittens
Brown paper packages tied up with strings
These are a few of my favourite things
(My favourite things From: The sound of music. Music: Richard Rodgers, Lyric: Oscar Hammerstein II
queste righe mi ricordano tre cose:
1 la voce di Julie Andrews
2 un programma radiofonico di Radio 3
3 Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy
quattro cose...
4 le mie cose preferite.
My favorite things è una canzone del musical The sound of music (Tutti insieme appassionatamente).
Quando Julie “Maria” Andrews cantava questa deliziosa filastrocca, l'elenco delle cose preferite funzionava splendidamente: un mantra con benefici effetti sull'animo provato dalle difficoltà della vita. L'elenco delle favorite things scacciava la tristezza e aiutava a affrontare i periodi meno felici. In un certo senso l'applicazione pratica del detto “canta che ti passa”. "Fantastico!" ho pensato.
Così ho provato anch'io a fare una lista delle mie cose preferite sperando di ricevere nei momenti neri lo stesso conforto che ne traeva la brava Julie Andrews.
In realtà, se alla fine della giornata mi trovo le ossa inzuppate dalla nebbia gelida della mia città e penso al mare e alla calda estate croata, per esempio, per contrasto purtroppo non mi ritrovo particolarmente confortata. Allo stesso modo, quando in ufficio sono costretta a ascoltare fiumi di parole inutili e penso invece alle piacevolissime chiacchierate che potrei fare con gli amici più simpatici... beh ecco, continuo ad avere qualche dubbio sulle qualità terapeutiche della lista delle favourite things.
Tuttavia è bello avere delle cose preferite e questa è la mia lista in ordine rigorosamente sparso:
leggere davanti al camino acceso, cantare in auto, cucinare il pollo, le cene fra amici, i fari sulle scogliere selvagge, i gatti, la neve, i temporali, parlare con i bambini, il profumo del narghilè acceso, la Scozia, i Bollywood movies, le lingue del mondo, le carte geografiche, il caffè, danzare, la fotografia, l'odore della carta, la pasta con le zucchine, mangiare, passeggiare, la Cornovaglia, il mare, nuotare, il mio iPod, dormire, viaggiare in treno, il volo dei corvi, i tramonti, camminare sulla sabbia, il mio iBook, il cinema, le biblioteche, la copertina da serata in poltrona, le librerie, gli aeroporti, Godot e Bloomsbury.
... in effetti, adesso che ci penso mi sento molto meglio!
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